AFRO

1912-1976
Terzogenito dei Basaldella, Afro Libico nasce nel 1912, a Udine, da una famiglia di decoratori (i fratelli Mirko e Dino si dedicheranno alla scultura). Grazie ad una borsa di studio intraprende sin dal 1928 gli studi d’arte a Roma dove entra in contatto con i protagonisti della “Scuola Romana” quali Scipione, Mafai, Cagli, Birolli e Morlotti. Sono gli anni di una pittura retorica stereotipata, incoraggiata dal fascismo. Successivamente – tra il ’36 e il ’40 – egli guarda a Morandi; si dedica allo studio della forma, si abitua a prendere l’immagine, estraniarla dal contesto e immergerla nella luce; una luce che via via lo porta alla rarefazione, alla creazione di lunghi silenzi estetici, di atmosfere sospese che gli consentono di acquisire un proprio stile, individuale e difficilmente classificabile. Con lo scoppio della guerra Afro si trasferisce a Venezia. Insegna all’Accademia di Belle Arti. La svolta cruciale arriva però negli anni ’50: l’incontro con la cultura americana, la prima esposizione al MoMa e l’ingresso nella “scuderia” della gallerista newyorchese Catherine Viviano segnano indelebilmente il suo modo di essere. I mesi trascorsi in America hanno una funzione catalizzatrice: è Afro stesso a raccontare che in quel periodo di tempo non produce “né una pittura né un abbozzo”. Si limita ad osservare e assimilare criticamente tutto ciò che gli sta intorno convinto che l’autenticità di un’immagine dipinta è insita nella corrispondenza tra le impressioni ricevute e la loro rielaborazione mnemonica. Non a caso la sua opera è dichiaratamente autobiografica: “Tutte le mie immagini – afferma potrebbero risalire all’origine della mia vita”. Negli USA rimane folgorato dalle opere di Gorky, l’artista gli permette di “scoprire un mondo di immagini inedito […]. Una fantasia, un colore, un sogno febbrile […]”. È l’esperienza più importante del suo primo viaggio, quella che gli ha insegnato a inseguire la sua verità senza falsi pudori, una verità che dice “posso cercare solo dentro di me, dove le immagini sono ancora radicate alle loro origini oscure, alla loro sincerità inconsapevole”. Senza ripudiare le proprie radici profondamente legate alla cultura classica e a quel “colorismo veneto” che lo accompagnerà durante il corso di tutta la sua vita, egli si discosta dai parametri della pittura tradizionale ma non dalla tradizione; una tradizione che si manifesta nelle idee e non attraverso un’iconografia riconoscibile perché riconosciuta.