FILIPPO DE PISIS

1896-1956
Filippo Tibertelli, in arte Filippo de Pisis, nasce nel 1896 a Ferrara, nella città che vedrà affermarsi la Metafisica di De Chirico e Carrà. Terzo di sette fratelli non frequenta le scuole pubbliche ma segue privatamente gli insegnamenti di alcuni precettori. Nel 1904 inizia a disegnare sotto la guida del professore Odoardo Domenichini. Di nascosto, però, per non ferire il professore, prende lezioni di disegno anche da Angelo e Giovanni Longanesi. Stimolato dall’ambiente familiare di origine aristocratica, fin da adolescente sviluppa uno spiccato interesse per le arti e la letteratura, che approfondisce frequentando dapprima il liceo classico e poi, dal 1916, la Facoltà di Lettere all’Università di Bologna, esordendo in campo letterario, con un volume di versi I Canti della Croara (1916). Chiamato a Venezia per la visita militare, viene riformato ma coglie l’occasione per studiare Tiziano, Tintoretto e Tiepolo. Nel periodo universitario studia con molto interesse i poeti del tardo Ottocento e in particolare Verlaine, Baudelaire e Rimbaud e a Ferrara, sempre nello stesso periodo, conosce Morandi, Carrà, De Chirico e Savinio e tramite loro stringe rapporti epistolari con Soffici e Tzara. A stretto contatto con questi esponenti dell’avanguardia internazionale, decide di dedicarsi alla pittura trasferendosi da Ferrara a Roma nel 1920 dove trova ancora maggiori stimoli alla sua formazione fraquentando i caffè letterari. Collabora alla rivista “Valori Plastici” e entra in contatto con intellettuali quali Cardarelli, Baldini, Barilli, gli scrittori della “Ronda” e Armando Spadini. Nel 1925 espone a Roma alla Casa d’Arte Bragaglia e alla III Biennale romana, prima di trasferirsi a Parigi in cerca di nuovi stimoli per l’arte, dove vivrà fino al 1939. Conosce Braque, Picasso, Matisse, Cocteau, Max Jacob e Joyce. L’ammirazione per Delacroix e Manet si rifletteranno nella sua opera in un uso gestuale e immediato del colore e in brillanti accenti tonali. A contatto con il fervente clima artistico e studiando gli Impressionisti la sua pittura giunge alla piena maturazione. De Pisis viene attratto inoltre da modi e tecniche pittoriche di istantanea espressività, capaci di fissare fuggevoli stati d’animo, o d’inquietudine inafferrabile, aggiungendo, nei suoi lavori, una personale situazione psicologica in cui si coglie un senso di disgregazione e di disfacimento. Nell’aprile del 1925 espone alla Galleria Carmine. Viene invitato  per la prima volta alla Biennale veneziana
Nel 1926, forma con De Chirico, Paresce, Tozzi, Savinio, Severini, e Campigli, il “Gruppo dei Sette”, dando vita alla “Ecole Italienne de Paris”, ed espone nella personale alla Galerie au Sacre de Primtemps con presentazione di De Chirico. Viene pubblicata la prima monografia a lui dedicata scritta da Waldemar George. Negli anni seguenti si susseguono senza sosta le partecipazioni dell’artista ferrarese alle più importanti rassegne espositive milanesi, romane e parigine. Nell’aprile 1933, su invito del mercante Zwemmer, è a Londra. La città è meno accogliente di Parigi, ha però per de Pisis un suo fascino; dipinge Trafalgar Square e altre impressioni; visita la National Gallery e tutti i musei, ma con un impeto diverso rispetto a qualche anno prima. Viene ospitato dalla pittrice Vanessa Belli, sorella di Virginia Wolf. Conosce e frequenta il pittore Duncan Grant. Ha con sé un segretario, Edoardo Languasco, che lo segue nelle sue sortite con cavalletto e pennelli nelle strade londinesi.  Nel gennaio 1943 acquista un palazzetto a Venezia in San Sebastiano dove, dopo i primi bombardamenti di Milano nell’agosto di quell’anno, deciderà di trasferirsi. Il tema prediletto della sua produzione pittorica è la natura morta, al quale affianca, soprattutto dopo lo scoppio della guerra, il tema delle vedute cittadine, sviluppato in particolare nel periodo veneziano e terminato nel 1947 con un breve soggiorno a Parigi. Le immagini che l’artista dipinge sono, più che disegnate, evocate e circondate da un continuo clima poetico, come risulta dalle vedute parigine, londinesi, dalle marine veneziane, dai nudi e dai grandi mazzi di fiori. Nel ’47 espone a New York, l’anno seguente alla Biennale con una vasta retrospettiva. Anche le opere del suo ultimo periodo (una lenta malattia lo consumerà in una clinica milanese) risentono di un’intensità poetica eccezionale, di una netta opposizione a ogni forma di classicismo, delle sue straordinarie doti di colorista che lo pongono fra i più grandi pittori contemporanei. Torna a Parigi, dove si fermerà fino al maggio 1948, alloggiando all’Hôtel des Saints-Pères e dipingendo nello studio di un’amica pittrice. Rientra in Italia con i primi sintomi della malattia che lo condurrà alla morte. È a Venezia per la Biennale, la prima del dopoguerra, che gli dedica una sala personale con trenta opere dal 1926 al 1948, ordinata e presentata da Rodolfo Pallucchini. Ai primi del 1950 esce una monografia dedicata ai suoi disegni per le edizioni del Cavallino, con introduzione di Giuseppe Raimondi. Il 18 aprile la Galleria Rotta di Genova inaugura una personale di sue opere recenti. La XXV Biennale di Venezia gli dedica una sala con tredici opere, paesaggi, nature morte, e ritratti. Nel 1951 il Castello Estense di Ferrara ospitò la sua prima antologica
In luglio si trasferisce a Villa Maggio in Valsassina, dove riprende a dipingere sollecitato dalla bellezza della campagna circostante. In settembre rientra a Villa Fiorita i suoi arti sono semiparalizzati, la malattia viene identificata come polinevrite e ciò non gli permette più di lavorare. Tra il 1954 e il 1955 viene trasferito all’ospedale psichiatrico di Villa Turro per il costante aggravarsi delle sue condizioni. Muore a Brugherio, in provincia di Milano, nel 1956.